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sabato 30 ottobre 2021

La prima di molte segnalazioni: Domenico Notari, La misteriosa morte dello scrittore Egidio Valdés, un giallo intrigante e frizzantino

 Siccome in questo periodo sono un po' distratta e dispersiva ma leggo

spesso cose che mi interessano, ho deciso di cambiare temporaneamente registro e invece di fare vere recensioni, limitarmi a segnalare velocemente i libri che penso valga la pena di leggere.  

Comincio da un giallo che sicuramente non ha bisogno delle mie parole perché è stato recensito a tappeto, cioè La misteriosa morte dello scrittore Egidio Valdés di Domenico Notari (qui un'intervista all'autore, che conosco da lungo tempo e di cui ho particolarmente apprezzato L'isola di terracotta). Ambientato a Salerno con notevole attenzione ai luoghi, introduce l'accattivante personaggio dell'ispettore Filippo Donnarumma, ironico e dissacrante ma pronto a diventare acuto e implacabile nel seguire le tracce di un intrigo davvero originale, dove si sta molto in libreria, si legge molto, tra le pagine dei libri si trovano macabre sorprese, si tirano in ballo scrittori famosi, si incontrano personaggi insoliti. Naturalmente il protagonista trova il tempo di rincorrere, oltre all'assassino, anche una sfuggente fanciulla dal bellissimo nome di Teresella, ma quello che più attrae in questo originalissimo giallo è il tono frizzante e spiritoso, veloce e molto gradevole. Troverete i link a molte recensioni vere, assai più soddisfacenti di queste poche parole, sulla pagina facebook di Domenico Notari.   

martedì 12 ottobre 2021

Questa volta ho fatto tredici: Le case di paglia e le case di pietra


Finalmente, grazie all'impagabile Elisa Labanca di Buckfast Edizioni, vede la luce Le case di paglia e le case di pietra. E' un romanzo corale, ambientato ai giorni nostri, i cui protagonisti si conoscono o si sfiorano soltanto, a Torino, a Pollone, in Liguria o in paesi stranieri come l’India, il Portogallo e la Grecia.

Vi sono narrate le vicende di una dozzina di personaggi (tra principali e secondari) alcuni dei quali hanno qualche punto in comune, più o meno importante, e altri no. Alla fine convergono nello stesso luogo dove rimangono bloccati in un ingorgo, ma questo non significa che si incontrino. Ovviamente ho ben presente il riferimento a Thorton Wilder, Il ponte di San Luis Rey


La struttura è caratterizzata da un alternarsi di parti più o meno lunghe dedicate ai vari personaggi, ognuno dei quali è costruito attraverso le sue azioni presenti e episodi del suo passato, non necessariamente legati ai fatti e alle azioni del presente, cioè non in forma di flash back esplicativi ma di veri e propri racconti autonomi (in particolare per il personaggio principale, Olimpia) che, non limitandoli al presente, li rendono figure a tutto tondo, complesse e vivaci, di cui il lettore può seguire lo sviluppo nel tempo. Questa struttura a “racconti nell’azione” è voluta e cosciente, e l’ho utilizzata in altri miei libri, ad esempio Irene a mosaico e Il cuore in ballo.

 

Alcuni hanno qualche punto in comune, più o meno importante, e altri no, ma tutti sono accomunati dal fatto che nelle loro vite esistono fantasmi e segreti non condivisi neppure con le persone più vicine. Così Olimpia che in apparenza ha realizzato tutto non si accontenta di una vita sola, tra Stella e Aysel si frappongono la colpa e il dolore, Elena deve caricarsi di segreti non suoi, Richi e Pietro rincorrono sogni senza il coraggio di svegliarsi. E anche se alla fine ci pensa il caso, o il destino, a farli convergere nello stesso luogo, non è detto che si incontreranno, o si riconosceranno. Si potrebbe riassumerne il senso così: la vita di chiunque è molto più complessa di quello che appare, e non sappiamo niente di chi ci sta accanto.

Un assaggio, Richi in India:

 La delusione era così cocente che Richi Scotti rimase fermo in mezzo alla stanza per dieci minuti senza decidersi a fare i gesti abituali di ogni arrivo. Con rabbia aprì la valigia, portò in bagno la borsa da toilette, si tolse calze scarpe e camicia, infilò le infradito, prese il portatile e si sistemò nella veranda. Il piano di vetro del tavolino era rotto, la poltrona di vimini non aveva cuscino, nella rete antizanzare della porta c’erano buchi grossi come piattini. E pensare che ho sognato questo albergo per anni. Il famoso Eastern Railways Hotel, bella roba! Sarà stato bello vent’anni fa, quando arrivando dalla spiaggia la sera con Elena ci appariva magico, la veranda illuminata, i clienti eleganti allungati sulle sdraio a bere aperitivi, il prato umido e i rospetti che saltavano sotto i piedi. Quelle due o tre birre servite dai camerieri in divisa come una concessione benevola a due inferiori (non residents not allowed in the restaurant) me le sono ricordate come bevande degli dei, e ho sempre pensato che se mai tornavo a Puri questo sarebbe stato il mio albergo. Bene, adesso non sono più un ragazzo spiantato, posso scegliere quel che voglio, e l’Eastern Railways è diventato una spelonca cadente e vuota. Vorrei poter telefonare a Elena per dirglielo. Domani me ne vado, non posso certo restare in questo sfacelo, chissà che brulicare di topi e scarafaggi ci sarà col buio. E quella zanzariera sul letto, piena di polvere e rammendi… Sarà una notte tremenda.      

Di fronte alla sua stanza, oltre la veranda, si apriva una grande terrazza e il golfo del Bengala respirava azzurro e liscio come seta con lunghe onde ordinate, silenziose. Doveva rivedere qualche passaggio della relazione sull’incontro del giorno dopo, controllare dei dati inseriti all’ultimo momento. Non gli interessava tanto, in fondo non era la sua linea quella prodotta a Puri, aveva accettato di venirci per amicizia verso la collega responsabile di quel settore del progetto, incinta al sesto mese. Aveva già abbastanza problemi, povera donna, l’azienda le faceva pagare la gravidanza come un tradimento. Ma no, sapeva benissimo che le sue motivazioni non erano così altruistiche. Si era offerto di sostituirla per tornare a Puri, e andare all’Eastern Railways Hotel. Il groviglio di pensieri gli impediva di lavorare, lasciò passare il tempo finché l’oscurità cadde quasi senza preavviso sul terreno incolto davanti alla spiaggia dove fino a poco prima dei ragazzi giocavano a cricket, inondò la veranda e la terrazza tanto che gli parve sentirla salire su per le gambe e il petto. Fredde luci al neon si accesero nei negozietti sparsi lungo la strada, i fari sobbalzavano sul fondo sconnesso, tra gli alberi volavano in cerchio frotte di pipistrelli. In giardino i sentieri erano segnalati da lampade nascoste tra le bordure fiorite. Si perse dietro il ricordo di Elena. Proprio lì aveva capito che la loro storia non sarebbe durata. Lei era troppo insofferente, lui troppo appassionato di lei. Al rientro in Italia, si erano detti addio all’aeroporto e non si erano mai rivisti. Non era un corso di pensieri da incoraggiare. Infreddolito, oppresso dal senso di abbandono che emanava dall’albergo vuoto, spense il computer.    

 

E per concludere:

[…] il tempo corre veloce, non si fa acchiappare volentieri. In un attimo ci si ritrova all’età delle rimpatriate, delle tremende cene con i compagni di scuola. In realtà non sempre le cene con i compagni di scuola sono tremende. In fondo bisogna ammettere che si vedono con piacere, perché sono la prova che si è stati giovani. Gli unici testimoni che siamo stati giovani. […] Eppure, dovremmo sempre ricordare che una sera andiamo a dormire che abbiamo trent’anni, e la mattina dopo ci svegliamo che ne abbiamo settanta. Ma dentro, dentro siamo uguali sempre. E quando ci destiamo di notte e il cuore ci si stringe al pensiero di (tutto) quello che abbiamo perso lungo la strada della vita, è lo stesso cuore di quando le facce dei nostri compagni ci erano così familiari, di quando dormire era facile e svegliarsi un dispiacere, di quando si correva dietro al tram seminando fogli e matite. Per fortuna il tempo aggiusta tante cose, quasi tutte, almeno quelle che non distrugge.