Finalmente, grazie all'impagabile Elisa Labanca di Buckfast Edizioni, vede la luce
Le case di paglia e le case di pietra.
E' un romanzo corale, ambientato ai
giorni nostri, i cui protagonisti si conoscono o si sfiorano soltanto, a Torino,
a Pollone, in Liguria o in paesi stranieri come l’India, il Portogallo e la
Grecia.
Vi sono narrate le vicende di una dozzina di personaggi
(tra principali e secondari) alcuni dei quali hanno qualche punto in comune,
più o meno importante, e altri no. Alla fine convergono nello stesso luogo dove
rimangono bloccati in un ingorgo, ma questo non significa che si incontrino.
Ovviamente ho ben presente il riferimento a Thorton Wilder, Il ponte di San Luis Rey.
La struttura è caratterizzata da un alternarsi di parti
più o meno lunghe dedicate ai vari personaggi, ognuno dei quali è costruito
attraverso le sue azioni presenti e episodi del suo passato, non
necessariamente legati ai fatti e alle azioni del presente, cioè non in forma
di flash back esplicativi ma di veri e propri racconti autonomi (in particolare
per il personaggio principale, Olimpia) che, non limitandoli al presente, li rendono figure a tutto tondo, complesse
e vivaci, di cui il lettore può seguire lo sviluppo nel tempo. Questa struttura a “racconti
nell’azione” è voluta e cosciente, e l’ho utilizzata in altri miei libri, ad
esempio Irene a mosaico e Il cuore in ballo.
Alcuni hanno qualche punto in comune, più o meno importante, e altri no,
ma tutti sono accomunati dal fatto che nelle loro vite esistono fantasmi e
segreti non condivisi neppure con le persone più vicine. Così Olimpia che in
apparenza ha realizzato tutto non si accontenta di una vita sola, tra Stella e
Aysel si frappongono la colpa e il dolore, Elena deve caricarsi di segreti non
suoi, Richi e Pietro rincorrono sogni senza il coraggio di svegliarsi. E anche
se alla fine ci pensa il caso, o il destino, a farli convergere nello stesso
luogo, non è detto che si incontreranno, o si riconosceranno. Si potrebbe riassumerne il senso così: la vita di chiunque è
molto più complessa di quello che appare, e non sappiamo niente di chi ci sta
accanto.
Un assaggio, Richi in India:
La
delusione era così cocente che Richi Scotti rimase fermo in mezzo alla stanza
per dieci minuti senza decidersi a fare i gesti abituali di ogni arrivo. Con
rabbia aprì la valigia, portò in bagno la borsa da toilette, si tolse calze
scarpe e camicia, infilò le infradito, prese il portatile e si sistemò nella
veranda. Il piano di vetro del tavolino era rotto, la poltrona di vimini non
aveva cuscino, nella rete antizanzare della porta c’erano buchi grossi come
piattini. E pensare che ho sognato questo albergo per anni. Il famoso Eastern
Railways Hotel, bella roba! Sarà stato bello vent’anni fa, quando arrivando
dalla spiaggia la sera con Elena ci appariva magico, la veranda illuminata, i
clienti eleganti allungati sulle sdraio a bere aperitivi, il prato umido e i
rospetti che saltavano sotto i piedi. Quelle due o tre birre servite dai
camerieri in divisa come una concessione benevola a due inferiori (non
residents not allowed in the restaurant) me le sono ricordate come bevande
degli dei, e ho sempre pensato che se mai tornavo a Puri questo sarebbe stato
il mio albergo. Bene, adesso non sono più un ragazzo spiantato, posso scegliere
quel che voglio, e l’Eastern Railways è diventato una spelonca cadente e vuota.
Vorrei poter telefonare a Elena per dirglielo. Domani me ne vado, non posso
certo restare in questo sfacelo, chissà che brulicare di topi e scarafaggi ci
sarà col buio. E quella zanzariera sul letto, piena di polvere e rammendi… Sarà
una notte tremenda.
Di
fronte alla sua stanza, oltre la veranda, si apriva una grande terrazza e il
golfo del Bengala respirava azzurro e liscio come seta con lunghe onde
ordinate, silenziose. Doveva rivedere qualche passaggio della relazione
sull’incontro del giorno dopo, controllare dei dati inseriti all’ultimo
momento. Non gli interessava tanto, in fondo non era la sua linea quella
prodotta a Puri, aveva accettato di venirci per amicizia verso la collega
responsabile di quel settore del progetto, incinta al sesto mese. Aveva già
abbastanza problemi, povera donna, l’azienda le faceva pagare la gravidanza come
un tradimento. Ma no, sapeva benissimo che le sue motivazioni non erano così
altruistiche. Si era offerto di sostituirla per tornare a Puri, e andare
all’Eastern Railways Hotel. Il groviglio di pensieri gli impediva di lavorare,
lasciò passare il tempo finché l’oscurità cadde quasi senza preavviso sul
terreno incolto davanti alla spiaggia dove fino a poco prima dei ragazzi
giocavano a cricket, inondò la veranda e la terrazza tanto che gli parve
sentirla salire su per le gambe e il petto. Fredde luci al neon si accesero nei
negozietti sparsi lungo la strada, i fari sobbalzavano sul fondo sconnesso, tra
gli alberi volavano in cerchio frotte di pipistrelli. In giardino i sentieri
erano segnalati da lampade nascoste tra le bordure fiorite. Si perse dietro il ricordo
di Elena. Proprio lì aveva capito che la loro storia non sarebbe durata. Lei
era troppo insofferente, lui troppo appassionato di lei. Al rientro in Italia,
si erano detti addio all’aeroporto e non si erano mai rivisti. Non era un corso
di pensieri da incoraggiare. Infreddolito, oppresso dal senso di abbandono che
emanava dall’albergo vuoto, spense il computer.
E per concludere:
[…] il tempo corre veloce, non si fa
acchiappare volentieri. In un attimo ci si ritrova all’età delle rimpatriate,
delle tremende cene con i compagni di scuola. In realtà non sempre le cene con
i compagni di scuola sono tremende. In fondo bisogna ammettere che si vedono
con piacere, perché sono la prova che si è stati giovani. Gli unici testimoni
che siamo stati giovani. […] Eppure, dovremmo sempre ricordare che una sera
andiamo a dormire che abbiamo trent’anni, e la mattina dopo ci svegliamo che ne
abbiamo settanta. Ma dentro, dentro siamo uguali sempre. E quando ci destiamo
di notte e il cuore ci si stringe al pensiero di (tutto) quello che abbiamo
perso lungo la strada della vita, è lo stesso cuore di quando le facce dei
nostri compagni ci erano così familiari, di quando dormire era facile e
svegliarsi un dispiacere, di quando si correva dietro al tram seminando fogli e
matite. Per
fortuna il tempo aggiusta tante cose, quasi tutte, almeno quelle che non
distrugge.