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sabato 27 giugno 2009

Buoni propositi, e letture succulente, anche troppo: Yu Hua, Brothers e Arricchirsi è glorioso

Gran pigrizia ultimamente, mi accorgo che non ho più scritto da secoli. E adesso me ne vado per due settimane, speriamo che al ritorno avrò il tempo di scrivere qualcosa, sono subissata dai problemi pratici. Intanto ho letto Arricchirsi è glorioso di Yu Hua, il seguito di Brothers, che recensirò per LN-LibriNuovi per cui qui non ne parlo, se non per dire che mi ha lasciata depressa. Non mi è tanto piaciuto. E se vengono meno i miei punti fermi, per dirne alcuni Mo Yan che mi ha dato un colpo mortale con il suo The Repubblic of wine di cui ho parlato all'inizio dell'anno, e adesso Yu Hua, mi sento spiazzata, più sola... non che manchino i libri da leggere, ma io ci tengo ai miei amati. Se anche Pamuk si mette a fare libri eccessivi, non necessari, chiaramente scritti solo per essere pubblicati e non per il piacere dei loro autori, che farò?
Per il momento me ne vado un po' al mare, dove si legge strabene, con un malloppo di libri che mi terranno compagnia all'ombra di una tamerice. E spero che quando tornerò avrò un sacco di cose da raccontare. Libresche, ovviamente.


Yu Hua, Brothers, Feltrinelli 2008, ediz. orig. 2005, trad. dal cinese di Silvia Pozzi
Piccolo avvertimento: Brothers è un romanzo in due parti (il che spiega il doppio anno di prima pubblicazione), e questa è la prima parte. Ci tocca accontentarci anche se l’Editore non è chiarissimo nello spiegarlo, e chissà quando leggeremo la seconda parte, non ce lo comunica. Altro mistero che non viene chiarito, perché il titolo è in inglese? Boh.
Per fortuna che anche mutilo, Brothers è di succulenta lettura. L’avvio non fa presagire tanto di buono, con un insistito chiacchiericcio a proposito di culi (il termine non è mio, cito) e una comicità un po’ grossolana, ma superato lo sconcerto e proseguendo nella vicenda, ci si accomoda presto in prima fila per assistere da spettatori soddisfattissimi alle vicende di Li Testapelata e di suo fratello Song Gang. Figli rispettivamente della vedova Li Lan e del vedovo Son Fanping, quando i due si sposano diventano fratelli, senza una goccia di sangue in comune ma legati per la vita da un amore infrangibile. Anche i genitori si amano, e per Li Lan, il cui primo marito era un buono a nulla morto affogato in un gabinetto pubblico, comincia un periodo di felicità, serenità, autostima, quale non sognava nemmeno potesse esistere. Bisogna dire che Son Fanping, insegnante di scuola media, è una persona straordinaria, e un personaggio talmente ben costruito e convincente che certe volte verrebbe da applaudirlo a scena aperta. Ha tratti che ricordano Fugui di Vivere! e Xu Sanguan di Cronache di un venditore di sangue, è inguaribilmente ottimista, pieno di attenzioni e delicatezze verso i familiari, coraggioso, leale, coerente, sempre pronto a rialzarsi e tornare a combattere. Un eroe positivo ma modesto, del tutto spontaneo. Per i due bambini è un modello. Tanta è la sua premura per Lin Lan che la convince a farsi ricoverare in ospedale a Shangai per curare una ricorrente emicrania che la tormenta. 

Dopo la partenza di Li Lan per Shangai, da noi a Liuzhen arrivò la Rivoluzione culturale”. Così è annunciata la bufera che comincia come uno scoppio di tuono, impazza per alcuni anni poi si spegne lasciando dietro di sé rovine e cadaveri. Visti attraverso gli occhi bambini di Li Testapelata e Song Gang gli avvenimenti, che li coinvolgono distruggendo la loro recente famiglia, raggiungono livelli di sublime assurdità. Raramente ho trovato una rappresentazione così potente della stupidità, della prepotenza, della inaccettabile ingiustificata ottusità. In questo romanzo scorrono fiumi di lacrime, dato che seguiamo i protagonisti dall’infanzia alla prima adolescenza li vediamo piangere, asciugarsi il moccio, singhiozzare, ma anche sbavare di golosità per gli spaghetti ai tre sapori e il gelato di soia verde, soprattutto per le caramelle mou Coniglio bianco. 

Come sempre nei romanzi di Yu Hua, ci scorre davanti la vita in tutte le sue accezioni anche più crude, la Storia incalza e non risparmia nessuno, ma il tono rimane vagamente fiabesco, incantato, capace di abbassarsi al livello di ogni minimo personaggio. Si arriva alla fine completamente immersi nel mondo della “nostra Liuzhen”, anche noi golosi di caramelle mou e spaventati dai ragazzacci che picchiano esercitando la “gamba–che–spazza”. Speriamo solo che l’Editore non ci faccia aspettare troppo la seconda parte: anche se dimenticare Li Testapelata e la sua famiglia non sarà facile, conoscere il suo destino tra un paio d’anni è uno spreco. O ci toccherà rileggere tutto da capo. 

Yu Hua, Arricchirsi è glorioso, Feltrinelli 2009, ediz. orig. 2005, 2006, trad. di Silvia Pozzi. Questo romanzo è il seguito di Brothers, in cui si narravano le vicende di Li Testapelata e Song Gang, due fratelli sui generis in quanto figli l’uno di Li Lan e l’altro di Song Fanping che convolando a nozze formano una famiglia allargata. Ambientato nella cittadina di Liuzhen prima, dopo e durante la Rivoluzione culturale, metteva in scena molti personaggi che ritroviamo qui, anni dopo, quando la Cina si apre all’iniziativa privata e il capitalismo, da tigre di carta e colosso dai piedi d’argilla, diventa buono, anzi glorioso. Qui i destini dei due fratelli si dividono: Li Testapelata, brutto e senza scrupoli, si arricchisce a dismisura cominciando dal riciclo di rifiuti, mentre Song Gang, bello, onesto e leale, scivola su una china di povertà e sventura senza possibilità di salvezza. Eppure Song Gang è riuscito nell’impresa cui Li Testapelata ha dedicato tutte le sue risorse, cioè la conquista di Lin Hong, bella tra le belle della “nostra Liuzhen”. Tutt’attorno si agitano i personaggi che già conosciamo, Zhao il poeta e Liu lo scrittore, Mamma Su, il fabbro Tong, il giovane arrotino Guan, il sarto Zhang eccetera. 

Yu Hua non è tenero con la modernità, non crede che il denaro dia la felicità, anzi, dalle vicende dei vari personaggi si può concludere che il capitalismo non rende felice nessuno ma certamente rende infelicissimi quelli che non riescono a adattarsi ai tempi e accumulare denaro. Così la sorte di Song Gang è tragica ma quella di Li Testapelata non è da invidiare, tanto che alla fine, ricollegandosi alla pagina iniziale di Brothers, lo vediamo intento a organizzare un viaggio nello spazio a bordo della navicella russa Soyuz, alla modica cifra di venti milioni di dollari. L’autore non è tenero neppure con le donne, tanto da sfiorare la misoginia nel lungo episodio del  primo concorso nazionale Miss Vergine, e affibbiare a Lin Hong una serie di cliché femminili, a cominciare da quello della moglie rompiscatole che per gelosia distrugge i legami maschili fino alle più classiche interpretazioni dell’infoiata e della tenutaria. È come se non riuscisse a immaginare le donne al di fuori dell’ambito biologico e sessuale.  

Tutto ciò, però, questa volta non mi ha convinta come invece succedeva negli altri bellissimi libri di Yu Hua. Prima di tutto la narrazione è prolissa, ripetitiva, come se l’autore, poco fidandosi della storia, volesse convincere il lettore, ripetergli le cose perché ci creda. Ricordo che Vivere!, secondo me il più bello dei suoi romanzi, ha 178 pagine, Cronache di un venditore di sangue 238, questo raggiunge le 437. Inoltre l’autore spinge moltissimo il pedale del grottesco, accumulando personaggi stravaganti e episodi bizzarri, il che dopo un po’ diventa stucchevole, a parte un breve pezzo che vira sul tragico e mal si amalgama con il resto. Per finire, i personaggi compiono giravolte e azioni poco comprensibili, Song Gang nella sua mitezza autolesionista (che a tratti lo fa apparire addirittura un Cristo) fa scelte inspiegabili e fa venire un po’ i nervi, per non parlare di Lin Hong, personaggio sottoposto a tali e tante trasformazioni che l’autore, rendendosene conto, mette le mani avanti sottolineandone le incongruenze (p. 419). 

Forse troppo innamorato dei personaggi del suo teatrino, o spinto dal successo a scrivere testi lunghi (in effetti dalle nostre parti vanno di moda almeno attorno alle 400 pagine), non riesce a staccarsi dalla “nostra Liuzhen” quando sarebbe ora, e soprattutto non riesce a evitare l’effetto accumulo. Siccome è un autore che amo moltissimo e porto sempre con me il suo autografo insieme a quello di Mo Yan, se potessi inviargli un consiglio da lettrice devota gli direi “la prossima volta, e speriamo che sia presto, più sobrietà nel tono e misura nella lunghezza”. Con tutto il rispetto e l’ammirazione di sempre, Yu Hua.