mercoledì 20 novembre 2019

Raso: un racconto per i giorni di pioggia


                                                            RASO
------------------------------------------------------------------D                                                       
Pioveva da otto mesi. Nel villaggio tutti avevano imparato a nuotare, compresi i bambini più piccoli; galleggiavano nelle culle come ranocchi, e le mamme li appendevano alle travi del soffitto quando volevano farli sgocciolare un po'. Le case erano decorate da ghirlande di funghi bianchicci lungo i bordi delle facciate, pesciolini argentei sguazzavano dietro le finestre del pianterreno, gli uomini pescavano i lucci nelle botole delle cantine. Nelle strade allagate sciami di barchette si spostavano da una casa all'altra. Il ticchettio della pioggia e lo sciacquio dei remi erano diventati il sottofondo della vita quotidiana.

Miriam, la sarta, cuciva seduta dietro l'abbaino della soffitta. Le sue mani scivolavano sulla stoffa umida, l'ago le sfuggiva sovente dalle dita bagnate. Era felice perché era innamorata e sapeva anche di essere ricambiata. Quello che stava cucendo era il suo abito da sposa, a ogni punto un sorriso segreto le allargava il viso. "Sposa bagnata, sposa fortunata" cantava il suo cuore. Le dita scivolose piantavano l'ago nella stoffa, lo tiravano fuori dall'altra parte e davano uno strattone al filo per fermare il punto. Il raso bianco e viscido, coperto di goccioline iridescenti, prendeva forma a poco a poco, prima il corpetto, poi la gonna, poi le maniche, infine la cuffietta e il velo di pizzo antico. Miriam cuciva e sorrideva, la pioggia batteva allegra e incoraggiante al finestrino.
Quando fu troppo buio, scese al piano inferiore a cuocersi qualcosa per cena. Fare il fuoco era sempre più difficile. A stento riuscì a cucinare un guazzetto di carpa con funghi. Era triste mangiare sola, ma erano gli ultimi giorni prima delle nozze. La ragazza sorrideva tra sé al pensiero di quando avrebbe dovuto cucinare per due, inventando nuovi modi per rendere appetitoso il pesce melmoso e gli insipidi funghi che ormai erano l'unico cibo disponibile. Scucchiaiava la sua brodaglia e sorrideva, sorrideva, perché la pioggia era amichevole e l'amore splendeva come il sole tra le nuvole.
"Quando Dario tornerà" pensava "gli preparerò una zuppa di rane e dei funghi canditi. Lui mi bacerà sugli occhi e nel collo, mi sbottonerà la camicetta, io arrossirò un pochino e poi..."
Qui i suoi pensieri si fecero un po' confusi, il sorriso si trasformò in risatina.
"Ci sposeremo, tornerà il sole, asciugherà tutto, e saremo felici per sempre."
Com'era quando splendeva il sole? Non riusciva a ricordarlo bene, ma doveva certamente essere bellissimo.     
Dario era partito tre settimane prima con altri giovani in cerca d'aiuto. Non erano ancora giunte notizie, ma tutti li attendevano di ritorno da un giorno all'altro. Nella mente degli abitanti del villaggio i soccorsi avevano l'aspetto di una schiarita tra le nuvole, di terra fumigante sotto i raggi del sole e di calore che scacciava l'umidità dalle ossa.
Miriam ritirò le lenzuola che aveva stese accanto al fuoco perché si asciugassero un po', preparò il letto e si coricò. Durante la notte la pioggia aumentò di intensità fino a trasformarsi in temporale. Le persiane sbattevano, l'acqua si riversava a scrosci contro le tegole e i vetri, in certi momenti il rumore era così forte che sembrava di trovarsi sotto una cascata, ma i tetti resistevano e nelle case ci si sentiva al sicuro.

La mattina, il temporale era cessato. Dal cielo scendeva una pioggerellina grigia e tiepida come l'acqua della doccia, così sottile che era quasi un piacere farsi spruzzare la faccia aprendo le finestre.
"Oggi sarà una bellissima giornata" si disse Miriam, tornando a sedersi accanto all'abbaino per terminare il suo abito da sposa.
Ormai aveva tutto il tempo di dedicarsi al proprio corredo. Nessun abitante del villaggio aveva più bisogno della sua opera, ognuno si vestiva alla meno peggio con sacchi e coperte, badando solo a coprirsi come poteva dall'umidità e dal freddo.
Verso mezzogiorno la pioggia aumentò di nuovo. Quando Miriam scese per prepararsi il pranzo trovò la cucina allagata, inutilizzabile. Ricuperò un paio di pentole che galleggiavano nell'acqua torbida, una scatola di fiammiferi da una mensola, un po' di legna per fare il fuoco, e si rifugiò nella soffitta. Il pomeriggio fu lungo e la scarsa luce non le permise di andare molto avanti nel suo lavoro. La sera, l'acqua aveva ormai raggiunto anche la soffitta. Avvolse con molta cura l'abito di raso bianco in un telo impermeabile, s'arrampicò dal davanzale dell'abbaino fin sul tetto e si sistemò alla meno peggio accanto al comignolo. Anche sui tetti delle case vicine vi era gente, le conversazioni si intrecciavano, mentre le barche dondolavano ormeggiate ai comignoli.
La notte era buia e fredda. Miriam sgranocchiava funghi crudi per tenersi sveglia e non cadere in acqua, sorridendo appena appena tra sé. Aveva messo il suo fardello ben steso su uno spiovente del tetto perché non si stropicciasse, fermandolo con qualche tegola per impedire alle raffiche di vento di portarlo via. Verso l'alba si addormentò. Quando riaprì gli occhi, sicura di aver dormito pochi istanti, una luce grigia illuminava il villaggio.
 C'era molta agitazione tra i comignoli, esclamazioni soffocate, un andirivieni di barchette, uno sciacquio inquieto. Miriam si alzò in piedi a fatica appoggiandosi al tetto con le due mani. Scrutò attentamente la foschia e infine riuscì a distinguere la causa di tutto quel movimento. In lontananza, dalla parte dove un tempo c'era una pianura coltivata e verdeggiante, avanzava lentissima una nave maestosa, pavesata di luci malgrado il chiarore sempre più intenso del mattino. Man mano che si avvicinava tagliando l'acqua con la prua e sollevando due lucide onde, sul villaggio scendevano il silenzio e l'immobilità. Gli abitanti ritti in piedi allungavano il collo e trattenevano il respiro contemplandola. La pioggia si era diradata, larghe lente gocce si spiaccicavano con un suono ritmato sulle tegole e sull'acqua.
Cominciarono a levarsi esclamazioni di sollievo, meraviglia, grida di gioia e battimani. Il cuore di Miriam batteva furioso. C'era di sicuro Dario sulla nave, Dario che aveva trovato i soccorsi e ora tornava trionfalmente e li avrebbe portati tutti in salvo in un posto asciutto e soleggiato, dove avrebbero potuto mangiare pane e frutta e carne.

La nave procedeva silenziosa, emanando sicurezza e luce, ma c'era qualcosa che non andava. Ormai giunta all'altezza delle case, a una distanza di qualche decina di metri, non accennava a fermarsi né a rallentare l'andatura. Sui ponti e dietro agli oblò illuminati si stagliavano delle figure umane immobili, con il viso rivolto verso i tetti che spuntavano dall'acqua, muti, senza un sorriso. Miriam all'improvviso fu sicura di riconoscere Dario, ma non riuscì a emettere il grido che le soffocava la gola. Rimase impietrita sotto le raffiche di pioggia che aumentavano di intensità.
"Bisogna fermarli!" gridò qualcuno. "Facciamo dei segnali, facciamoci vedere!"
"Facciamo un fuoco!"
Questa, naturalmente, era  un'idea assurda.
"Una bandiera, qualcosa di bianco, che si veda da lontano e attiri la loro attenzione!"
La vicina di casa di Miriam si arrampicò sulle tegole scivolose fino a raggiungerla.
"Il tuo vestito da sposa! Il raso è lucido, si vede bene. Dove l'hai messo? Dammelo."
Miriam non l'aveva ascoltata, ma quando la vide afferrare il pacco impermeabile si scosse e corse a fermarla.
"Non toccare il mio vestito! Quello mi serve per sposarmi quando Dario tornerà!"
La donna le diede uno spintone. Miriam riuscì a evitare di cadere in acqua solo aggrappandosi al comignolo con tutte le sue forze.
Il pacco fu aperto. Un uomo infilò un bastone nelle maniche dell'abito che dopo pochi istanti sventolava agitato da mani volenterose e disperate. Miriam guardava la pioggia che inzuppava il raso bianco, le pieghe acciaccate della gonna, il merletto antico inzaccherato dal fango. I suoi occhi aridi e brucianti non avevano lacrime, solo le gocce di pioggia le rigavano le guance e le scendevano nel collo.
La bianca bandiera sventolò a lungo, gli abitanti del villaggio gridarono e gridarono, ma la nave non si fermò. Proseguì superba e serena, si lasciò dietro speranza e disperazione e continuò ad allontanarsi finché il grigiore compatto dell'orizzonte la inghiottì, e disparve in silenzio come in silenzio era apparsa. Dopo qualche minuto una grande ondata grigia e lucente investì le case, strappando dai tetti qualche vecchio e qualche bambino. Si dovette andare a ripescarli con le barche prima che affogassero.
Il tempo passava. Tutti rimanevano incerti, senza più parole, seduti sulle tegole bagnate, finché nel primo pomeriggio qualcuno si accorse che la pioggia aveva cessato di cadere. Il cielo ancora grigio non riversava più sulla terra l'interminabile cascata che li aveva oppressi per tanti mesi. Dopo qualche ora, si udì un grido.
"L'acqua sta scendendo!"
Era vero. L'acqua defluiva dalle vie, a poco a poco le case emergevano, la gente rientrava dalle finestre dei piani alti e cominciava il faticoso lavoro di ripulire e sgombrare le stanze dal fango e dai detriti. Al tramonto, il manto compatto di nubi si squarciò a occidente. Un raggio di sole si allungò, rosso e arancione, fino a lambire le case, facendo brillare i vetri delle finestre. Tutto il villaggio sembrava in fiamme. Gli abitanti uscirono nelle strade intasate dal fango per sentire sulla pelle il bruciore insopportabile e infinitamente gradevole del sole.

Passarono alcuni mesi, e fu di nuovo estate, come quando la pioggia aveva cominciato a cadere. L'erba era ricresciuta tra i ciottoli delle strade, nei cortili si sentivano di nuovo chiocciare le galline e abbaiare i cani. Il fango era stato spalato, le case ripulite, la vita aveva ripreso il suo ritmo normale.
Miriam, seduta su una seggiola fuori dall'uscio, cuciva sorridendo da sola. I clienti erano numerosi ora che la vita era tornata a fervere, le donne volevano abiti per il ballo, gli uomini avevano bisogno di completi eleganti e indumenti per il lavoro. Ma Miriam cuciva anche per sé. Nelle lunghe sere estive, mentre se ne stava seduta sulla sua seggiola, le sue agili dita lisciavano il raso che aveva acquistato nella vicina città, un punto dietro l'altro il suo abito da sposa riprendeva forma. Non aveva più il merletto antico, ma il tulle poteva andare bene lo stesso. Non era mai stata una ragazza pretenziosa. Era bello cucire nella sera azzurra, sognando dolcemente il ritorno di Dario, che non era mai ricomparso, come nessuno di quelli che erano partiti con lui. Ma sarebbe tornato di certo.
"Lascia perdere, Miriam" le dicevano le vicine. "Dario e i suoi compagni sono ragazzi giovani, pieni di voglia di conoscere il mondo, chissà dove sono adesso."
A lei non importava aspettare. Si era abituata a sedere fuori dell'uscio la sera, a cucire finché c'era un po' di luce. Poi rientrava, si cucinava la cena, magari più tardi andava a fare quattro chiacchiere con una vicina, o qualcuno veniva a trovarla. Non era una brutta vita, ora che la mattina si potevano spalancare le finestre per fare entrare il sole, uscire per le strade, chiacchierare nei negozi e passeggiare in campagna. C'erano tante cose da fare, bastava muoversi lentamente e pensare solo al ritorno di Dario, senza soffermarsi sulla sequela di giorni che la separavano da quel momento. Per questo Miriam era contenta che il raso fosse un materiale così difficile da cucire: punto dopo punto, gugliata dopo gugliata la sua vita si svolgeva tranquilla e senza scosse.     
Quando giunsero le prime foglie gialle e le prime nebbie d'ottobre, l'abito da sposa era finito. Miriam tornò ancora una volta in città per comprare un manichino sul quale dispose la sua opera, completa di velo e coroncina di fiori di seta. Ritto in un angolo della stanza in cui la ragazza lavorava e i clienti provavano i vestiti, divenne una presenza silenziosa che metteva a disagio chi lo guardava. Per lei invece era una fonte continua di orgoglio e rassicurazione. Ora la sera veniva buio presto, faceva freddo, naturalmente non sarebbe più stato possibile sedere fuori dalla porta a cucire. Miriam se ne stava in casa a leggere, ascoltare la radio e pensare a Dario. Le serate erano lunghe, ma non le pesavano.

A novembre ricominciò a piovere. Dapprima fu una pioggerellina grigia e impalpabile, che quasi non spruzzava neppure i vetri e inumidiva appena il volto, ma col passare dei giorni divenne più fitta e insistente, e infine ricominciarono le raffiche torrenziali che facevano tremare le pareti e sembravano sempre sul punto di scoperchiare i tetti. Questa volta, gli abitanti del villaggio non aspettarono passivamente che il diluvio finisse. A una a una, le famiglie radunavano i loro averi, masserizie, bambini e animali sulle macchine, sui trattori, sui camion e partivano. Era chiaro che non c'era molto tempo da perdere, perché le strade che portavano al villaggio cominciavano a trasformarsi in pantani, il fiume nel suo letto in mezzo ai campi minacciava di straripare dagli argini ricostruiti durante l'estate. Sotto la pioggia battente le file dei fuggitivi si snodavano come lucidi serpenti.
Il villaggio era ormai quasi del tutto spopolato. Miriam sedeva accanto alla radio che ancora trasmetteva pubblicità e ballabili provenienti da qualche luogo in cui il cielo era sereno, forse addirittura splendeva il sole. I suoi vicini, tra gli ultimi che si erano decisi a partire, vennero a chiederle se voleva andare con loro. Ma Miriam non aveva voglia di partire. Le piaceva il rumore della pioggia e l'odore di umido che pervadeva già tutta la casa.
"Che cosa resti a fare?" le chiese la vicina. "Se non parti ora non potrai più farlo, non ci sono più mezzi di trasporto. Questa sera sarai del tutto sola. Vieni via finché sei ancora in tempo!"
Lei ringraziò e rimase.
Venne la sera, ed era bello sentire il vento che scuoteva le persiane mentre in casa tutto era immobile e silenzioso. Miriam leggeva accanto alla stufa; c'era ancora legna. Quando giunse l'ora di cena, si alzò per cucinare qualcosa. Aprendo la credenza fu lieta di vedere che vi erano spuntati dei funghi. Ne raccolse alcuni, e canticchiando cominciò ad affettarli per prepararsi una cenetta come piaceva a lei.




Nessun commento: