mercoledì 18 ottobre 2017

Il vero amore supera anche le delusioni: Orhan Pamuk, La donna dai capelli rossi

Confesso che mai avrei pensato di poter scrivere quello che sto scrivendo, ma La donna dai capelli rossi (traduzione di Barbara La Rosa Salim) del mio amatissimo Orhan Pamuk non mi è piaciuto per niente. E dirò di più, non mi è interessato per niente, ma questo può dipendere da un mio limite, il fatto che il tema centrale mi ha lasciata freddina. La storia è presto detta, evitando lo spoiler sul finale che comunque qualsiasi lettore appena sveglio (nel senso letterale di non addormentato durante la lettura) si può immaginare senza difficoltà: il protagonista Cem, adolescente borghese che parla in prima persona, abbandonato dal padre militante marxista, per potersi mantenere agli studi passa un'estate come aiutante di uno scavapozzi, Mahmut Usta, in una località di campagna, Öngarën.

Tra i due si stabilisce uno stretto rapporto, e si raccontano a vicenda storie ossessivamente legate al tema padre - figlio, dichiarato fin dalla prima pagina. Cem racconta l'Edipo di Sofocle, Mahmut Usta il Rostam e Sohrab di Firdusi stabilendo l'inizio di una contrapposizione che è il tema di tutto il libro. La sera i due hanno l'abitudine di recarsi al villaggio a prendere un tè. Qui Cem vede una donna per strada e zac! se ne innamora perdutamente. Avrebbe anche un nome, ma Pamuk decide di chiamarla per tutto il libro la Donna dai Capelli Rossi, il che non aiuta a rendere più credibile e coinvolgente la storia. Il destino fa i suoi giochi, e molti anni dopo Cem, diventato un imprenditore edile di successo, torna a Öngarën,


dove tutto è cambiato, Istanbul si è tanto allargata che la campagna è diventata periferia residenziale, ma comunque i nodi si sciolgono e nell'ultima parte è la Donna dai Capelli Rossi a parlare in prima persona, fornendo la sua chiave di interpretazione dei fatti. I temi di fondo, molto insistiti e ribaditi in dialoghi piuttosto innaturali, esprimono tutti un contrasto o un confronto: padre - figlio, ubbidienza - libertà, oriente - occidente, laicismo europeizzato - fede in dio, modernità - ubbidienza.

In realtà il romanzo è pieno dei temi tipici di Pamuk che riaffiorano qua e là: i lavori scomparsi, l'allargarsi irrefrenabile di Istanbul (La stranezza che ho nella mente), le antiche miniature persiane (Il mio nome è Rosso), la contrapposizione oriente-occidente (Il castello bianco), i movimenti politici e i colpi di stato (La casa del silenzio), la donna vagheggiata, elusiva, misteriosa e in fondo  inconsistente (Il museo dell'innocenza), con una variante perché qui la donna parla, il sottosuolo, fa una comparsa stile "cameo" per iniziati persino l'occhio in cielo che tutto segue (Il libro nero), non manca qualche cenno al cinema turco della Yeşilçam (Il museo dell'innocenza) ma per qualche ragione mancano di seduzione.

Ma mancano anche i motivi fondamentali per cui Orhan Pamuk è diventato uno degli autori che amo e ammiro di più: l'ineffabile e meravigliosa sensazione di nostalgia che pervadeva gli altri romanzi, anche quelli per me incomprensibili (l'inverno silenzioso di Kars (Neve), il capitolo decimo di Istanbul, le strade struggenti dell'Anatolia in La nuova vita, gli squarci meravigliosi come la descrizione del Bosforo prosciugato in Il libro nero), e soprattutto manca la bellissima scrittura, le frasi così necessarie e perfette da far venire voglia di accucciarvisi dentro. In parte dipende certo dalla traduzione piuttosto piatta (ovvio che non mi riferisco alla sicuramente ottima conoscenza del turco della traduttrice, ma all'italiano in cui si esprime), ma anche il testo iniziale non è eccezionale, pieno di ripetizioni come se l'autore avesse paura che il lettore non capisca bene, frettoloso in certe parti e sbrodolato in altre (per esempio tutta la prima parte a Öngarën è francamente noiosa).

Certo non rinnego il mio amore per Orhan Pamuk, né mai mi pentirò di tutto quello che ho fatto al suo inseguimento. Mi limito a dire che se il nostro incontro fosse cominciato con questo libro non ne avrei letti altri, ma so per certo che avrei fatto malissimo: come tutti i veri amori il nostro è fatto di alti e bassi, di momenti di incomprensione e riavvicinamenti, e adesso aspetto con fiducia e piacere anticipato il prossimo regalo di riappacificazione da parte del mio amato. A uno che ha scritto Neve Istanbul, Il museo dell'innocenza e Il mio nome è Rosso posso perdonare qualsiasi cosa. 

2 commenti:

Orlando Furioso ha detto...

Invece di continuare a invidiarti pensando "Quanti romanzi che legge, beata lei! Chissà quante cose meravigliose mi sto perdendo!" (a parte La donna dai capelli rossi, s'intende ^___^), potrei smettere di leggere quei saggi - certe volte anche superpesanti - dei quali mi sto imbottendo da anni e che alla fin fine non mi stanno servendo a un tubo...
E se (ri)cominciassi a leggere romanzi? Ci devo pensare seriamente, anche perché seguo diversi blog letterari, oltre al tuo, che parlano di bei libri e se continuo a incaponirmi coi miei finti "studi" non leggerò mai. E siccome non so se credo alla reincarnazione, ma anche fosse dubito che nella prossima vita mi ricorderei i libri letti e quelli non letti (e poi se mi reincarno in un procione o in uno scarabeo stercoraro? Altro che libri!), forse è meglio cominciare?...
Siamo in un momento di cambiamenti, mi sa che è meglio se ci penso davvero.
(Scusa lo sfogo, ma non so proprio con chi parlarne di 'ste cose e così finisce che sfinisco di commenti cretini i vari blog che seguo...)
Baci!
E signor Pamuk per favore scriva presto un romanzo bellissimo, grazie.

consolata ha detto...

@Orlando: io non sono mai stata una studiosa e ho sempre detestato studiare (i risultati si vedevano) per cui per me non è stata una scelta ma solo la fame di storie che mi ha spinto a sguazzare nei romanzi. Però devo dire che su quelle pagine ho imparato tantissimo: per esempio, nei romanzi dell'Ottocento che hanno accompagnato la mia adolescenza ho scoperto la rivoluzione industriale, le differenze sociali e economiche, le disparità tra uomo e donna, e ho imparato un po' di storia, e moltissimo di geografia. Poi ho continuato, e continuo a imparare, anche se i romanzi non dicono proprio la verità, attraverso le parole degli scrittori si intravede il mondo. Mi ricordo che fin da ragazzina mi ero accorta che si imparava, si capiva insomma, molto di più di un'epoca e di una società attraverso le storie dei cosiddetti "minori" che in quelle degli autori più illustri, che inevitabilmente danno una loro forte interpretazione... Non è che ti voglio convincere, voglio solo spiegare che sì, sono convinta che si può imparare anche dai romanzi. E continuo a imparare leggendo, ecco perché leggo pochissimi best seller e autori noti, soprattutto leggo pochissimi autori USA e italiani, cerco sempre autori di qualche angolo di mondo che conosco poco. Baci baci.