domenica 10 settembre 2017

Due no e un sì: Petros Markaris, Il prezzo dei soldi; Stuart MacBride, Apparenti suicidi; Thornton Wilder, Il ponte di San Luis Rey

Le letture che si fanno in viaggio sono importanti perché acquistano profumo e sensi dai posti che ci stanno intorno. In questi giorni non sono stata fortunatissima - su tre libri che ho letto, due sono dei bei no rotondi e uno un sì.

Cominciamo dai no. Visto che mi trovo in Grecia, mi sono fatta tirare a leggere l'ultimo Petros  Markaris, Il prezzo dei soldi (ediz. originale 2017), tradotto in italiano da Andrea Di Gregorio, che mi ha confermato i motivi per cui, dopo l'entusiasmo iniziale, ho smesso di leggerlo: una trama tutta telefonata (non succede niente se non degli ammazzamenti), un pensiero piuttosto elementare (qui si tratta della ripresa della Grecia, inizialmente attribuita a un voto fatto dalla moglie del commissario Charitos di digiunare per tutta la quaresima, poi spiegata con loschi spostamenti di denaro sporco - e qui sta tutto il succo) e per il resto uno stanco ripetersi sulle beghe tra colleghi poliziotti (di interesse veramente men che minimo), Adriana con i suoi proverbi e le sue ghemistà, i cenni al passato e il comunista in disarmo Zizi, Caterina e le sue banalissime vicende (nel prossimo volume sarà sicuramente incinta). Insomma, tempo sprecato e basta. Per fortuna è corto, e adatto a una lettura spezzettata.

Peggio mi sento con Apparenti suicidi di Stuart MacBride, tradotto da Fracesca Noto, una serie di
brevi racconti thriller (o noir? non ho mai capito la differenza) legati da un'unità di luogo, Oldcastle in Scozia, e di tempo, i giorni precedenti il natale, e collegati circolarmente l'uno all'altro da personaggi che rispuntano e si sviluppano. E questo, l'aspetto strutturale, è il più interessante. Per il resto le storie, tutte raccontate dal punto di vista della vittima o del cattivo, sono abbastanza prevedibili e soprattutto talmente caricate di paradossale violenza, cattiveria, sfiga, coincidenze sovrabbondanti e intrecci esagerati, da risultare stucchevoli e emanare sovente un fastidioso sentore di moralismo. Ma soprattutto il troppo stroppia, e MacBride esagera davvero con la sua programmatica perfidia, di modo che man mano che si va avanti nella lettura l'interesse diminuisce e l'attenzione crolla.

Per fortuna c'è il sì, che proviene dalla (ri)lettura di un classico che a suo tempo mi aveva incantato e questa volta mi ha di nuovo pienamente convinta: Il ponte di San Luis Rey di Thornton Wilder. Un libro strano, complesso, per niente ruffiano né legato alla contemporaneità. Ma la ricostruzione delle vite spezzate come nel 1714 a Lima in Perù si spezza il ponte di vimini costruito dagli Incas, è affascinante come il mondo remoto che ne scaturisce. Nulla accomuna la nobildonna pazza all'orfanella né agli altri crollati nell'abisso se non il momento della morte, e questo spinge frate Ginepro, che è scampato al disastro, a interrogarsi sul disegno divino che sta dietro all'accaduto. Ma nel romanzo prevalgono l'aspetto umano, le vicende palesi e i sentimenti segreti dei personaggi. Un gran bel romanzo, la cui edizione originale è del 1927, tradotto da Maurizio Bartocci.


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