lunedì 10 aprile 2017

Qualche pagina allegra per festeggiare la primavera: Adelina Fang e il dentista, dal romanzo a puntate "Ragazza brutta, ragazza bella"



Da Per qualcuno, lieto fine, primo capitolo di Ragazza brutta, ragazza bella che potete trovare qua in formato sia cartaceo che digitale.

                                                                 PER QUALCUNO, LIETO FINE
 Se di qualcosa Adelina Fang aveva coscienza, era di essere destinata a diventare grande. Non solo di età, non certo di statura, ma nella vita, nelle cose che contano, denaro, fama, potere.
Questo meditava, mentre se ne stava a bocca spalancata sulla sedia del dentista che trafficava prendendole le misure per la macchinetta. Con il mio splendente sorriso di trentadue denti perfetti forse un giorno renderò felice il re di Svezia che mi consegnerà il Nobel, timido e tremante. Forse in Svezia sta crescendo un principino con l'apparecchio per i denti che per quello stesso giorno sarà diventato un bel giovanotto, si innamorerà di me e mi chiederà in moglie. Sarò costretta a dirgli di no, naturalmente, la mia carriera è troppo importante. Prese mentalmente appunti: uno, controllare su Novella 2000 se esiste un erede al trono in età interessante, due, in caso positivo cominciare a studiare lo svedese. Non si sa mai, ci sono donne famose che sono riuscite a conciliare lavoro e vita privata.
Il dentista le piazzò in bocca uno strumento di ferro pieno di schifosa pastetta fredda e molle.
– Stringi bene, – disse.
Adelina strinse, rassegnata. La via della gloria è lastricata di momenti difficili. Il dentista le sorrise paterno dietro alla mascherina di plastica che lo faceva sembrare un saldatore.
– Resta così da brava, torno tra un attimo.
Già, così intanto andava nello studio a fianco a torturare un altro bambino innocente. Bella vita quella dei dentisti. Un sacco di soldi facili, ma niente glamour. Mai letto un articolo su un dentista su Novella 2000. Nessuna fotografia di dentista sorpreso al ristorante con Claudia Schiffer. No, decisamente non era la carriera da scegliere.
– Torna tra due giorni e avrai la tua macchinetta.
Adelina saltò agilmente giù dalla poltrona. Pensò per un attimo che forse avrebbe potuto dare un bacino all'uomo in camice bianco, poi decise che non era il caso. Faceva solo il suo mestiere. Un bacio di Adelina Fang bisognava guadagnarselo, mica era cosa da raccattare così, per un calco dentale. Gli strinse la mano e se ne andò in dignitoso silenzio.

– Cinque figli con i denti stolti, – disse la madre di Adelina, – che mai avlò fatto di male pel melitalmi questo? Mi costate più che un appaltamento in Costa Azzulla. E mi selvite anche molto meno, pigli, disoldinati e mangioni come siete.
– Tanto in Costa Azzulla non ci andlesti mai. Non ciai i vestiti, – rispose Adelina. La seduta dal dentista l'aveva lasciata nervosa e polemica.   
– Zitta te, scemetta. Mangia la tua minestlina e non essele impeltinente.
Adelina fece una smorfia all'indirizzo dei fratellini e affondò il cucchiaio nel brodo di dado sparsamente occupato da bumbunin scotti.
– Plefelisco la zuppa di abalone.
– Anch'io plefelisco passale le mie selate al Casinò di Sanlemo, ma sono costletta a stale a casa con voi. Mangia e taci, scimmia.
Era la sera di chiusura del ristorante Città Proibita, localino chic situato nel fossato asciutto del castello di Moretta. Non c'erano avanzi, e la signora Fang si prendeva una vacanza dai fornelli. I suoi bambini, tutti bianchi e rosa con delle guanciotte tonde che erano una réclame vivente alla sua cucina, scucchiaiavano depressi.
– Almeno una banana flitta, – implorò Agatocle Fang.
– Niente banane. Finite anche quelle.
– Uffa, mamma, – gemette Vezio. – Un pacchettino di Fonzie's!
– Polchelie.
Ma il suo cuore di mamma non resistette a quelle rosse boccucce protese nel tormento della fame. Mise sul tavolo un barattolo di Nutella e il cestino del pane. Cinque ditini paffuti si immersero nella crema oleosa.
– Col pane, polcelli! Col pane o la polto via immediatamente!
Ubbidienti, i bambini spalmarono di Nutella le michette e corsero ad accucciarsi davanti alla televisione.
– E plima di andale a letto dateci dentlo con lo spazzolino, che oltle ai denti stolti non vollei vi venisse anche la calie.

La macchinetta produsse su Adelina un effetto inaspettato. Nel giro di una settimana divenne perfettamente in grado di pronunciare la erre. Esaltata, si esibiva dalla mattina alla sera in scioglilingua arrotati per fare rabbia ai fratelli.
– Trentatré trentini partirono da Trento, – gridava Adelina.
I fratelli piangevano.
– Sopra la panca la capra campa!
Agatocle minacciò il suicidio se non poteva avere anche lui, immediatamente, il suo apparecchio.
– Sotto la panca la capra crepa!
Le urla di Vezio si sentivano dalla parrocchia. La signora Fang si affannò a distribuire pizzicotti e scapaccioni, nel timore che quelle ficcanaso delle assistenti sociali andassero a ficcare il naso a casa sua e trovassero che non curava abbastanza i figli. Finì per fare un mutuo e fornire tutti e cinque i bambini di strumenti di ferro che gli raddrizzarono la dentatura e li resero fluenti in erre doppia e semplice. Rimpianse di non averli chiamati Rosaura, Ruggero, Roberto, Rodrigo e Ranieri. Ora che in casa rimanevano solo lei e il signor Fang a dire “glazie, plego, tolna plesto”, si sentì improvvisamente vecchia. Questi giovani, pensò, fanno in fretta a dimenticare le radici e le tradizioni. Va' a vedere che una mattina si sveglieranno tutti e cinque biondi, ricci e con gli occhi tondi.

Adelina aveva un grosso difetto: era costituzionalmente la prima della classe, la cocca della maestra, l'orgoglio della scuola. Al concorso nazionale “Scrivete uno slogan per il vostro paese” sbaragliò tutti coniando la frase famosa “Neanche una fetta le manca a Moretta per esser perfetta”. I premi in palio erano cinque soggiorni di una settimana a New York. Così partì con altri quattro bambini di varie parti d'Italia, carica di indirizzi di parenti a Chinatown e uno in Park Avenue: quello di Désirée e Rolando.
La storia non dice come Adelina trascorse quei sette giorni. Sappiamo solo che tornò contenta, piena di notizie strabilianti e brufoli per l'eccesso di hamburger, patatine e cocacola, e innamorata.
La mattina successiva al suo rientro, davanti a una tazza di caffelatte e un buondìmotta, dichiarò alla madre:
– Ho trovato il fidanzato. Ci sposeremo quando io sarò un famoso avvocato e lui il re della medicina ayurvedica. Si chiama Dragomir Rimpoche. Papà tibetano e mamma rumena.
– Mix interessante, – disse la signora Fang dubbiosa.
– Abita ad Arezzo. Sentissi che accento incantevole. Quando parlava con Désirée, sembravano Dante e Beatrice.
– Chi mai salanno questi due? – si chiese la signora Fang. – Hai visto la bella abblonzata e il suo lustico compagno? – aggiunse ad alta voce.
– Oh sì. Ho visto un sacco di gente e un sacco di posti. Graziosa cittadina, New York. Penso che ci aprirò uno studio, diciamo una filiale. Sembra che tutti divorzino da quelle parti. Ho anche una commissione da parte di Désirée per Isidoro. Posso fare una telefonata a Torino, mamma?
– Basta che sia bleve.
– Non credo. Devo raccontargli come è stato pitturato tutto l'Empire State Building, descrivergli le figure e l'effetto che hanno avuto. Désirée dice che è importante, lui capirà.

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