lunedì 14 febbraio 2011

sabato 12 febbraio 2011

K.M. BALDURSDOTTIR, IL SORRISO DEI GABBIANI


KRISTÍN MARJA BALDURSDÓTTIR, IL SORRISO DEI GABBIANI, ed. orig. 1995, trad. dall’islandese di Silvia Cosimini, Elliot 2010, pp. 285, € 17,50
Un romanzo di quelli che ti restano dentro, per il fascino davvero singolare e sottilmente esotico e perché ti dà da pensare, lascia una traccia di inquietudine e molte domande aperte. In una cittadina a pochi chilomentri da Reykjavik, nei primi anni Cinquanta, l’orfana Agga vive con i nonni, due giovani zie e una prozia. La vita nella casa affollata si complica con l’arrivo di una cugina di ritorno dagli Stati Uniti, dove è sparita sette anni prima, diciassettenne, dopo aver sposato un militare americano di stanza nell’isola. Ora, vedova, torna in patria con bauli pieni di vestiti e dolciumi ma nessun posto dove andare se non la casa degli zii. È molto alta, molto magra, molto bella, ha gli occhi troppo chiari e diffonde intorno a sé il gelo. Agga prova subito repulsione e sospetto per quella donna troppo bella e troppo strana, dai capelli così lunghi e folti che quando li lava deve appendere le ciocche bagnate al soffitto perché non ne sopporta il peso. Freyja è un formidabile personaggio, pieno di misteri, che vediamo solo attraverso gli occhi di Agga, testimone poco oggettiva delle intricate vicende sentimentali vissute dalle giovani donne che la circondano. Agga vive tutte le contraddizioni del momento particolarissimo che separa l’infanzia dall’adolescenza, l’insicurezza e la rabbia, lo stupore nell’assistere ai cambiamenti del proprio corpo, il rancore verso gli adulti, la curiosità e l’impossibilità di capirli. Mi ha fatto pensare per contrasto a due tredicenni letterarie che ho incontrato di recente nel romanzo di Silvia Avallone Acciaio, così inverosimili nella loro consapevolezza di sé. Agga è vera, viva, determinatissima a non perdere nemmeno una parola né un atto di quello che avviene nel mondo degli adulti, moralista e sicura del proprio giudizio come solo i bambini sanno essere. Mentre Freyja procede senza tentennamenti verso i suoi scopi spietati e generosi insieme, seduce e respinge, sempre pronta a aiutare le persone cui è legata e vendicarsi crudelmente su chi la intralcia, Agga spia, interviene, si abboffa, si insinua dappertutto, riesce a assistere a tutti i momenti più drammatici e segreti della vicenda, coltiva la sua amicizia con il poliziotto Magnús, e nelle ultime, geniali righe forse abbandona del tutto l’infanzia. E al lettore rimane il dubbio se quello che ha letto fino a quel momento non sia stato un volontario inganno, una trappola prospettica che lo costringe a ripensare tutta la vicenda. Intorno si muove tutta la società della cittadina, offrendoci un ritratto pieno di sorprese dell’Islanda di metà Novecento, poco dopo l’indipendenza dalla Danimarca. C’è il razionamento, il cibo scarseggia, il lavoro manca, conservatori e democratici si alternano al governo ma i problemi rimangono. L’ambiente è ristretto ma non bigotto né arretrato, l’associazionismo impera, c'è una rete di assistenza per chi è in difficoltà economiche, la vita sociale è vivacissima e malgrado le condizioni atmosferiche ostili e faticose, l’aria aperta piace a tutti, si pattina e si passeggia, si festeggia nelle strade, si esce di sera e di notte. I personaggi che si muovo intorno a Freyja e Agga sono delineati con grande vivacità ma sobriamente, questo è un romanzo in cui non c’è spazio per fronzoli descrittivi o psicologismi. La vita è dura ma tutti si danno un gran daffare, anche Agga, appena finite le medie, si trova un lavoro pomeridiano, pur continuando a frequentare le scuole superiori al mattino. Ma la beffarda conclusione sembra dirci che più che il clima rigido, la lotta per sbarcare il lunario e dare cibo ai figli, i contrasti sociali e politici, la vera guerra è quella tra i sessi, e per vincerla ogni mezzo è lecito. La traduzione brillante e sensibile è di Silvia Cosimini.