mercoledì 10 novembre 2010

ELISABETTA CHICCO VITZIZZAI, IL PIÙ BEL VIZIO È LA VITA

Questa nuova fatica di Elisabetta Chicco Vitzizzai, pubblicata da Instar, è un libro agile che dà piacere a ogni parola, perché ogni parola è studiata e limata da una scrittura priva di qualsiasi sbavatura o compiacimento. Non si tratta di un romanzo ma della ricostruzione di un mondo perduto, la Torino (e dintorni) degli anni che stanno tra il ‘45 e gli anni ’60 del secolo scorso. L’autrice è figlia di un pittore, Riccardo Chicco, molto conosciuto a Torino sia per l’eccellenza delle sue opere (una è in copertina) che per essere stato un vero personaggio: nella parole della figlia fondamentalmente era un esteta e un pittore, accessoriamente un amante, sempre un seduttore. Marginalmente anche insegnante di storia dell’arte al liceo classico, dove io sono stata sua allieva. È naturale che la sua figura campeggi in queste pagine, ma in effetti non è l’unica né la principale. Tutta la famiglia della protagonista, una Elisabetta prima bambina poi adolescente, è dipinta con tratti nettissimi e precisi, e senza sconti. Sono pagine divertenti e divertite, abbastanza perfide. C’è la bella madre, piena di carattere ma del tutto priva di senso materno, c’è la zia Eva che mantiene la linea vivendo di whisky e sigarette, la tremenda zia Titina (la figura più esilarante e spaventosa) dedita alle opere di bene, gli zii, i vicini di casa, le figure di una Torino che si lascia alle spalle la guerra. È la Torino del Sollazzo Gastrico, della Turris Eburnea, della Tampa Lirica, dell’Escargot, nomi che forse non dicono molto ai più ma fanno sobbalzare chi quei tempi li ha vissuti o ne ha sentito parlare da zii e fratelli maggiori, l’altra faccia della Torino deprimente, grigio ostaggio della Fiat, in cui si aggirano personaggi trasgressivi e anticonformisti, come appunto Riccardo Chicco o Carol Rama e altri presentati dalle semplici iniziali. Torino è sempre stata assai più complessa e divertente di quel che il luogo comune voleva. Come supremamente divertenti sono gli episodi e i personaggi di questo libro, in apparenza svagato collage di ricordi, in realtà monumento alla distanza che permette di vedere un’epoca passata per quel che è, fuori dal compiacimento, dalla nostalgia. Non “come eravamo” ma “come erano”, bizzarri, ridicoli, cattivi, unici, umani, comunque nostri, e per fortuna che noi siamo diversi. Almeno fino a quando una nipote dalla penna intelligente, perfida e spiritosa come quella di Elisabetta Chicco Vitzizzai non deciderà, in un lontano futuro, di raccontarci. La parsimonia era una delle esecrabili virtù di famiglia. […] L’indole sospettosa e l’eccessiva precisione erano un’altra caratteristica di famiglia. […] Zia Luda sembrava una sedia liberty. Di quelle sedie allampanate, smunte, scivolate nei braccioli e nello schienale. […] Le due figlie di zia Luda, Mati e Matè, sembravano due poltrone imbottite, solide e goffe. […] La Cicci faceva un mestiere ormai in declino, la mantenuta. […] Zia Titina aveva una vera passione per le deformità e le collezionava si può dire con gusto ed esaltazione feticistici. Viene freddo al pensiero e insieme si scoppia a ridere.

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